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va scemando ogni giorno più, per dar luogo al sospetto, e alla diffidenza. Le replicate, sperienze ch’essi ànno avuto degl’Italiani, àn fatto passare in proverbio fra loro la nostra malafede. Eglino dicono per somma ingiuria egualmente Passia-viro, e Lanzmanzka-viro, fede di cane, e fede d’Italiano. Questa mala prevenzione contro di noi potrebb’essere incomoda al viaggiatore poco conosciuto: ma non lo è quasi punto. Ad onta di essa, il Morlacco nato ospitale, e generoso apre la sua povera capanna al forastiere: si dà tutto il moto per ben servirlo, non richiedendo mai, e spesso ricusando ostinatamente qualunque ricognizione. A me più d’una volta è accaduto per la Morlacchia di ricevere il pranzo da un uomo, che non m’avea veduto giammai, nè poteva ragionevolmente pensare di dovermi rivedere in avvenire mai più.

Io non mi dimenticherò per sin che avrò vita dell’accoglienza, e trattamento cordiale fattomi dal Vojvoda Pervan a Coccorich. Il mio solo merito era d’essere amico d’una famiglia d’amici suoi. Egli mandò monture, e scorte a incontrarmi, mi ricolmò di tutte le squisitezze dell’ospitalità nazionale ne’ pochi giorni, ch’io mi trattenni in que’ luoghi, mi fece scortare dal proprio figlio, e dalle sue genti sino alle campagne di Narenta, che sono una buona giornata lontane dalle di lui case, e mi premunì di vettovaglie abbondantemente, senza che potessi spendere in tutto questo un quattrino. Dopo che fui partito dall’albergo di sì buon Ospite, egli, e tutta la sua famiglia mi seguitò cogli occhi, nè si ritirò in casa, che nel momento in cui mi perdette di vista. Questo affettuoso congedo mi destò nell’anima una commozione, ch’io non avea mai provata sino allora, nè spero di provare sovente viaggiando in Italia. Io portai meco il ritratto di questo generoso uomo, sì