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mo di Carrara, e che inganna pur troppo spesso lo Statuario non meno, che i giudici de’ di lui lavori. La perfetta rassomiglianza del Marmo bianco tolto dalle statue Romane, e di quello che ritrovasi egualmente al piè della Montagna d’Arbe verso Loparo, e nelle due isolette soprannominate; il nome antico di Loparo, che per quanto mi fu detto rilevarsi da documenti esistenti in Arbe, era Neoparos; la probabilità, che le barche da carico Romane, andando a prendere della rena indicata da Plinio ne’ bassi fondi vicini, avessero anche scoperto questo Marmo, che in abbondanza vi si ritrova; la gran quantità di rottami di esso tuttora angolosi, ed irregolari, benchè dal tempo corrosi alla superfizie, che ritrovasi appiè del Monte della Sabbia, sono ragioni che m’inducono a credere vi fossero delle Lapicidine antiche in questo luogo, dalle quali una parte degli Statuarj Romani traesse la materia de’ suoi lavori. L’impasto del Marmo statuario d’Arbe è un aggregato d’Ortocerati, e Nummali della maggior mole: ma per avvedersene fa d’uopo esaminare di que’ rottami corrosi, ch’io v’ò indicato; allorchè si guarda lisciato dallo scalpellino, ogni vestigio de’ corpi estranei sparisce: così egualmente si perfezionò la petrificazione loro tanto nella sostanza, quanto nel colore. Rompendo qualche pezzo di questo Marmo statuario, si trova ch’è internamente cristallizzato come gli altri marmi compresi nella Categoria de’ salini. Io mi trovai contento di questa scoperta più che d’ogni altra mia osservazione, perchè mi parve la più immediatamente utile alla Nazione, e la più atta a liberarci da un annuo dispendio riflessibile, che si fa nell’acquisto di due gran carichi di marmo Carrarese. È anche tanto più opportuna la scoperta, quanto che da Carrara non ce ne viene oggimai portato di buona qualità, dopo che gl’