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Io non ò visitato quel sito, come nemmeno una cava di marmo bianco nel luogo detto Comin, che m’era stata indicata. La regione montuosa v’è tutta piena d’antri, e di voragini, delle quali si raccontano gran meraviglie. Io ebbi nella mia barca un Frate, da cui m’era stato fatto sperare che avrei ritratto qualche buona notizia, il quale mi raccontò le più matte fole, che possano formarsi in un capo guasto dalla superstizione. Questo strano vivente giurava su le strida de’ bambini nelle voragini, e su le danze delle Fate nelle caverne, come s’egli ne avesse veduto le mille volte. Egli mi assicurò che avea in un suo libro particolare una benedizione, contro la quale nessuna febbre poteva resistere. Interrogato del perchè non guariva tutta quella meschina popolazione, e non faceasi così un merito presso Dio, e gli uomini? rispose ingenuamente, che voleva essere ben pagato per fare di questi miracoli, e non si curava di operarli per gente meschina, e spilorcia. Io restai poco edificato, come potete ben credere, di questa sincerità: e tanto più mi parve mostruosa, quanto che gli altri di lui Confratelli sono pieni d’umanità, e di carità verso i poveri Morlacchi. Sarebbe lunga cosa, ed inutile il ridirvi tutte le pazzie, e le falsità dettemi dal fantastico uomo sul proposito dell’antica estensione, de’ monumenti, e delle Lapide che si ritrovano in quelle Paludi. Io mi sono fidato delle di lui parole una sola volta; ed ebbi da pentirmene. V’è anche un libriccino stampato, nel quale si leggono molte cose mattamente apocrife del paese di Narenta; io non voglio sapere se il mio Frate ne sia l’Autore, ma, comunque siasi, è lavoro che non merita d’essere letto, nè censurato.

Io abbandonai il paese di Narenta penetrato da un intimo sentimento d’obbligazione inestinguibile verso i