Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
selvaggio ed alpestre precipizio sotto Duare. Colà potrebbe aver dimora un uomo abitualmente melanconico, e che avesse cara la propria mestizia; ma nell’orrore romoroso della Cettina sepolta fra profondissimi dirupi, non potrebbe stare che un disperato, nemico della luce, degli uomini, di se medesimo. Le acque, che piombano da più di cencinquanta piedi d’altezza, fannovi un rimbombo cupo e maestoso, ch’è reso ancora più grave dall’Eco, che lo ripete fra quelle ripide, e nude sponde marmoree. Varj massi rovesciati, che impacciano il cammino al Fiume caduto dall’alto, rompono i flutti, e rendonli ancora più orgogliosi, e mugghianti. Le spume loro ripercosse violentemente si sminuzzano in istille candide, e sollevansi a nugoli successivi, cui l’aria agitata va spingendo pell’umido Vallone, ove di raro penetrano a diradarli i raggi del Sole. Quando questi nugoli s’alzano direttamente verso il Cielo gli abitanti aspettano lo scirocco, che non manca di sopravvenire. Due gran pilastri sono piantati come a guardia laddove cade il Fiume nell’alveo inferiore; l’uno di essi è attaccato di fianco alla sponda dirupata, ed à la sommità coperta di terra ove allignano alberi, ed erbe; l’altro è di marmo, ignudo, isolato. Mentre il mio compagno disegnava questo pezzo magnifico (Tav. XI.), io lo descrissi a mio grand’agio, e non trascurai d’esaminare le materie, che compongono quell’alte rive scoscese. Vi trovai una spezie d’Oolito molto osservabile, i di cui granelli sono connessi da un forte cemento spatoso, propagantesi a foggia di reticella, e una bella pasta di Breccia, pezzata di bianco, angolosa, e vergata di vivacissimo rosso, che sarebbe atta a qualunque Opera nobile. I Morlacchi, che mi servivano di scorta, mi sembrarono più riflessivi degli altri, ch’io avea conosciuti sino a quel giorno. Eglino esa-