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avevamo concepito d’un fiume sotterraneo, e non piuttosto si fosse il vero, e perenne fiume trovato. Pareva che non si potesse scendere più oltre, così ripidi ed alti erano i fianchi del Ponte. Questa difficoltà non ci trattenne però; noi ci calammo ad uno ad uno giù pel sasso, che sporge in fuori rendendo più difficile la discesa, e ci posimo in istato di proseguire le indagini. Il marmo, su del quale ci trovammo, è di quel precisamente medesimo impasto, che forma la base della Liburnia, e dell’Isole aggiacentivi, del quale ò fatto incidere un esemplare nelle mie Osservazioni sopra l’Isola di Cherso ed Osero1. Que’ corpi tubulosi, osteomorfi, cangiati in spato calcareo, resistono colaggiù precisamente come fanno sul lido del mare all’erosione dell’acque, piucchè non fa il cemento petroso, che gli unisce, e quindi sono assai prominenti. Fecimo pochi passi, scendendo alquanto pella schiena di quello strato inclinato, che c’incontrammo in parecchi laghetti, e pozzi. Egli è manifesto, che questi si sono aperti nello strato medesimo per isprofondamenti cagionati dal gran volume delle acque superiori, che non aveano sfogo, e che, nel tempo dello squagliamento delle nevi, deggiono aver fatto violenza da tutti i lati in quelle Caverne per agevolarsi l’uscita. Questi pozzi ci fecero intendere che noi stavamo su d’una volta, e che sotto di essa tutto era occupato dall’acqua; gli orli loro marmorei non mostravano in quel baratro grossezza maggiore di due piedi, ch’è la solita de’ corsi di quell’impasto, anche su le sponde del Quar-
- ↑ Saggio d’Osservazioni su l’Isola di Cherso, ed Osero. Ven. 1771. Fig. I. pag. 106.