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Il pericolo quotidiano di essere distrutte minaccia tutte le cose di questo genere, che trovansi sparse pella Dalmazia; ed anche per una sì lagrimevole ragione mi sono creduto in dovere di parlarne. Io spero, che Voi ben lungi dal condannarmi, approverete la mia diligenza, che spargerà forse un poco di varietà non disaggradevole nel mio Scritto, reso pur troppo stucchevole dall’aridità delle materie Orittologiche.
Se le lagrimevoli macerie di Salona non bastassero a precisamente determinare il sito, dov’ella sorgeva stesa in riva del mare, ce lo avrebbe assai chiaramente indicato Lucano:
Quà maris Adriaci longas ferit unda Salonas,
Et tepidum in molles zephyros excurrit Hyader.
Dev’essere stato guasto il testo di Cesare, che mette Salona in edito colle; non si può credere altramente, da ch’egli dovea ben conoscere la vera situazione di que’ luoghi.
Questo fiumicello, che non corre più di tre miglia, incappandosi tratto tratto in banchi tofacei, nodrisce nelle sue grotte muscose una squisita spezie di Trote. Di quì prese motivo alcuno Autore, ben più giusto apprezzatore dei bocconi ghiotti che delle azioni de’ grand’Uomini, di lasciarci scritto, che Diocleziano (facendo peggio d’Esaù) rinunziò al piacere di comandare a quasi tutta la Terra allora cognita, per mangiarsi tranquillamente di que’ pesci a crepapancia nel suo magnifico ritiro di Spalatro. Io non so se a Diocleziano piacesse il pesce, come gli piacevano gli erbaggi; ma credo, che anche per un uomo non ghiotto Spalatro dovess’essere un delizioso soggiorno; e per crederlo più fermamente m’immagino rivestita di antichi boschi la vicina montagna, che pell’orrida sua nudezza riverbera a’ tempi nostri un troppo insofferibile