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un circolo, e incominciano prima a girare lentamente ondeggiando, su le rozze, e monotone note dello stromento, che suonasi da un valente nel mestiere. Il circolo va cangiando forme, e diviene ora ellissi, or quadrato, a misura, che la danza si anima; e alfine trasformasi in salti sperticatissimi, a’ quali si prestano anche le femmine, con una rivoluzione totale della loro macchina, e delle vesti. Il trasporto, che ànno i Morlacchi per questa danza selvaggia, è incredibile. Eglino l’intraprendono sovente ad onta dell’essere stanchi pel lavoro, o per lungo cammino, e mal pasciuti; e sogliono impiegare con picciole interruzioni molte ore in così violento esercizio.

§. 15. Medicina.

Non è rara cosa, che malattie infiammatorie succedano alle danze de’ Morlacchi. In questo, come in tutti gli altri casi, essi non chiamano Medici, da che per buona fortuna loro non ne ànno, ma si curano da per se stessi. Una generosa bibita di Rakia suol essere la loro prima pozione medicinale; se il male non dà luogo, v’infondono una buona dose di pepe, o di polvere d’archibugio, e cioncano la mistura. Fatto questo, o si cuoprono bene, s’egli è d’inverno, o si distendono supini in faccia all’ardente Sole, s’egli è di state, per sudare, com’essi dicono, il male. Contro la febbre terzana ànno una cura più sistematica. Pel primo, e secondo giorno, prendono un bicchier di vino, nel quale per parecchie ore sia stato infuso un pizzico di pepe; nel terzo e quarto si raddoppia la dose. Io ò veduto più d’un Morlacco perfettamente guarito con questo strano febbrifugo. Curano le ostruzioni col metter una gran pietra piana sulla pancia dell’ammalato; i reumi con violentissime fregagioni che scorticano, o illividisco-