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fino a tanto, che la distanza divide le due voci. Un lungo urlo, ch’è un oh! modulato barbaramente precede sempre il verso; le parole, che lo formano, sono rapidamente pronunziate quasi senz’alcuna modulazione, ch’è poi tutta riserbata all’ultima sillaba, e finisce con un urlo allungato a foggia di trillo, che rialzasi nello spirare. La Poesia non è già del tutto spenta fra i Morlacchi, e ridotta al ricantare le cose antiche. V’ànno ancora molti Cantori, che dopo d’aver cantato un pezzo antico, accompagnandosi colla Guzla, lo chiudono con alquanti versi fatti all’improvviso in lode della persona riguardevole, per cui si sono mossi a cantare; e v’è più d’un Morlacco, che canta improvvisando dal principio al fine, accompagnandosi sempre su la Guzla; nè vi manca del tutto la Poesia scritta, quando le occasioni di conservar la memoria di qualche avvenimento si presentino. Lo zufolo, e le sampogne pastorali da più canne, ed un otre, cui suonano coi fiato accompagnandosi colle strette del braccio, sotto del quale lo tengono, sono anche rustici stromenti musicali comunissimi in Morlacchia.
Le Canzoni tradizionali contribuiscono moltissimo a mantenere le usanze antiche; quindi come i loro riti, anche i loro giuochi, e le danze sono di rimotissimi tempi. I giuochi consistono quasi tutti in prove di forza, o di destrezza, com’è quello di fare a chi salta più alto, a chi corre più veloce, a chi scaglia più da lontano una grossa pietra, che può a gran fatica esser alzata di terra. Al canto delle Canzoni, e al suono dell’otre, che non mal rassomiglia a quelli, cui portano in giro i Maestri dell’Orso, fanno i Morlacchi la loro danza favorita, che chiamasi Kolo, o cerchio, la quale poi degenera in Skoççi-gori, cioè salti alti. Tutti i danzanti, uomini, e donne, prendendosi per mano formano