Incominciare un canto, e gli parea
Superbo nel concetto e impertinente.
Si volta, e vede in aulica livrea
Gente che incoccia maledettamente
D’esser di carne come tutti siamo,
E vorrebbe per babbo un altro Adamo.
Vedea sbiadito il nastro degli occhielli,
E la fusciacca doventata bieca;
Uniformi ritinte, e de’ gioielli
Il bugiardo baglior che non accieca.
Else e crascià riconoscea tra quelli,
E spallette tenute in ipoteca,
E Marchesi mandati in precipizio;
E più visi di bue che di patrizio.
(Qui ci vuole un certo imbroglio —
Di sussiego e di miseria,
E il frasario dell’orgoglio
Adattato alla materia.
Fatto mantice, il polmone
Spiri vento di Blasone.
Ma di modi arcigni e tronfi
Non ho copia in casa mia,
Nè un bisnonno che mi gonfi
Di fastosa idropisia,
E un linguaggio da strapazzo
Ascoltai fin da ragazzo.
Se il poetico artifizio
Non m’aiuta a darmi l’aria
D’uno sbuffo gentilizio,
Colpa d’anima ordinaria.
Proverò se ci riesco.)
Lo squadravano in cagnesco