Oh povero stivale! ora confesso,
Che m’ha gabbato questa matta idea: 117Quand’era tempo d’andar da me stesso,
Colle gambe degli altri andar volea;
Ed oltre a ciò, la smania inopportuna 120Di mutar piede per mutar fortuna.
Lo sento e lo confesso; e nondimeno
Mi trovo così tutto in isconquasso, 123Che par che sotto mi manchi il terreno
Se mi provo ogni tanto a fare un passo;
Chè a forza di lasciarmi malmenare, 126Ho persa l’abitudine d’andare.
Ma il più gran male me l’han fatto i Preti,
Razza maligna e senza discrezione; 129E l’ho con certi grulli di poeti,
Che in oggi si son dati al bacchettone:
Non c’è Cristo che tenga, i Decretali 132Vietano ai Preti di portar stivali.
E intanto eccomi qui roso e negletto,
Sbrancicato da tutti, e tutto mota; 135E qualche gamba da gran tempo aspetto
Che mi levi di grinze e che mi scuota;
Non tedesca, s’intende, nè francese, 138Ma una gamba vorrei del mio paese.
Una già n’assaggiai d’un certo Sere,
Che se non mi faceva il vagabondo, 141In me potea vantar di possedere
Il più forte stival del Mappamondo:
Ah! una nevata in quelle corse strambe 144A mezza strada gli gelò le gambe.