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lo stivale. 17


Il mercante arricchì, credè decoro
     Darmi un po’ più di garbo e d’apparenza:
     57Ebbi lo sprone, ebbi la nappa d’oro,
     Ma un tanto scapitai di consistenza;
     E gira gira, veggo in conclusione
     60Che le prime bullette eran più buone.

In me non si vedea grinza nè spacco,
     Quando giù di ponente un birichino
     63Da una galera mi saltò sul tacco,
     E si provò a ficcare anco il zampino;
     Ma largo largo non vi stette mai,
     66Anzi un giorno a Palermo lo stroppiai.

Fra gli altri dilettanti oltramontani,
     Per infilarmi un certo re di picche
     69Ci si messe co’ piedi e colle mani;
     Ma poi rimase lì come berlicche,
     Quando un cappon, geloso del pollaio,
     72Gli minacciò di fare il campanaio.

Da bottega a compir la mia rovina
     Saltò fuori in quel tempo, o giù di lì,
     75Un certo Professor di medicina,
     Che per camparmi sulla buccia, ordì
     Una tela di cabale e d’inganni
     78Che fu tessuta poi per trecent’anni.

Mi lisciò, mi coprì di bagattelle,
     E a forza d’ammollienti e d’impostura
     81Tanto raspò, che mi strappò la pelle,
     E chi dopo di lui mi prese in cura,
     Mi concia tuttavia colla ricetta
     84Di quella scuola iniqua e maledetta.