Il mercante arricchì, credè decoro
Darmi un po’ più di garbo e d’apparenza: 57Ebbi lo sprone, ebbi la nappa d’oro,
Ma un tanto scapitai di consistenza;
E gira gira, veggo in conclusione 60Che le prime bullette eran più buone.
In me non si vedea grinza nè spacco,
Quando giù di ponente un birichino 63Da una galera mi saltò sul tacco,
E si provò a ficcare anco il zampino;
Ma largo largo non vi stette mai, 66Anzi un giorno a Palermo lo stroppiai.
Fra gli altri dilettanti oltramontani,
Per infilarmi un certo re di picche 69Ci si messe co’ piedi e colle mani;
Ma poi rimase lì come berlicche,
Quando un cappon, geloso del pollaio, 72Gli minacciò di fare il campanaio.
Da bottega a compir la mia rovina
Saltò fuori in quel tempo, o giù di lì, 75Un certo Professor di medicina,
Che per camparmi sulla buccia, ordì
Una tela di cabale e d’inganni 78Che fu tessuta poi per trecent’anni.
Mi lisciò, mi coprì di bagattelle,
E a forza d’ammollienti e d’impostura 81Tanto raspò, che mi strappò la pelle,
E chi dopo di lui mi prese in cura,
Mi concia tuttavia colla ricetta 84Di quella scuola iniqua e maledetta.