Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu/267


sant’ambrogio 243


Un cantico tedesco lento lento
    Per l’äer sacro a Dio mosse le penne:
    Era preghiera, e mi parea lamento,
    60D’un suono grave, flebile, solenne,
    Tal, che sempre nell’anima lo sento:
    E mi stupisco che in quelle cotenne,
    In que’ fantocci esotici di legno,
    64Potesse l’armonia fino a quel segno.

Sentía nell’inno la dolcezza amara
    De’ canti uditi da fanciullo: il core
    Che da voce domestica gl’impara,
    68Ce li ripete i giorni del dolore:
    Un pensier mesto della madre cara,
    Un desiderio di pace e d’amore,
    Uno sgomento di lontano esilio,
    72Che mi faceva andare in visibilio.

E quando tacque, mi lasciò pensoso
    Di pensieri più forti e più soavi.
    Costor, dicea tra me, Re pauroso
    76Degl’italici moti e degli slavi,
    Strappa a’ lor tetti, e qua senza riposo
    Schiavi gli spinge per tenerci schiavi;
    Gli spinge di Croazia e di Boemme,
    80Come mandre a svernar nelle Maremme.

A dura vita, a dura disciplina,
    Muti, derisi, solitari stanno,
    Strumenti ciechi d’occhiuta rapina
    84Che lor non tocca e che forse non sanno:
    E quest’odio che mai non avvicina
    Il popolo lombardo all’alemanno,
    Giova a chi regna dividendo, e teme
    88Popoli avversi affratellati insieme.