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il sortilegio. 235


Non molto andaro in giù, che dalla via
     Torsero a manca, e pervennero in loco
     Ove per molti ruderi s’uscia
     Ne’ campi, scosti dalle case un poco.
     La poveretta che si risentia,
     Ecco vede laggiù sorgere un foco,
     E parecchi d’intorno affaccendati
     Dal baglior delle fiamme illuminati.

Brillò la fiamma appena, che non lunge
     Da lei, più gente a gran corsa si sferra,
     E giù piombata in un attimo, giunge
     Là dove lo splendor s’alza da terra:
     E altra gente gridar che sopraggiunge,
     E d’un’altra che fugge il serra serra,
     E su e giù per fossi e per macchioni
     Stormir di frasche, e salti e stramazzoni.

S’alza un alterco... ahi misera! è la voce,
     È la voce di Maso; e par che tenti
     Di liberarsi d’uno stuol feroce
     Che lo serri d’intorno e gli s’avventi.
     Tosto drizzata in piè, scende veloce
     Onde veníale il suon de’ fieri accenti,
     Quand’ecco che la ferma un duro sgherro
     Con un artiglio che parea di ferro.

Le spie del luogo avean raccapezzato,
     Non si sa come, un che di quel ritrovo,
     E un Ser Vicario già n’era avvisato
     Famoso per trovare il pel nell’ovo:
     Ma tardi e male postisi in agguato
     I bracchi, mossi a chiapparli sul covo,
     Fallito il colpo della sepoltura,
     Te gli avean côlti alla cucinatura.