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il sortilegio. 233


A farlo apposta, tra le notti belle
     Vedute al mondo, questa, a mia sfortuna,
     Si potea dir bellissima: le stelle
     Erano fuori, tutte, fin a una!
     Se a sciuparmi le tenebre con quelle
     Fosse venuta in ballo anco la luna,
     Piantavo la novella, e buona sera:
     Tiriamo avanti, la luna non c’era.

Zitti, spiando intorno, e come un branco
     Di lupi ingordi..... Adagio, e colle buone;
     Il lupo è detto. — Di corvi? — Nemmanco,
     Che di notte non vanno a processione;
     Sicchè dunque dirò, lasciato in bianco,
     Per questa volta tanto, il paragone,
     Che s’avviò la frotta al Cimitero,
     (E passi per la rima) all’aer nero.

Intanto qua e là s’era aggirata
     Ratta, intendendo la vista e l’udito,
     Quella povera donna sconsolata
     Inutilmente cercando il marito;
     E stanca per que’ sassi, e disperata
     Della traccia, per ultimo partito
     Alla Chiesa risolse incamminarsi,
     E là piangere, e a Dio raccomandarsi.

Su per una viottola scoscesa
     Va la meschina risolutamente,
     E all’orlo del sacrato appena ascesa
     Che fa piazzetta, sul poggio eminente,
     Ode, o le pare, là, verso la Chiesa
     Un sordo tramenío, come di gente
     Che soprarrivi cheta e frettolosa,
     E s’argomenti di tentar qualcosa.