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il sortilegio. 231


Maso, bada alla gente! Il viciname
     Sparla di te; che ti se’ mal ridutto,
     Che un giorno o l’altro quel giocaccio infame
     T’ha da portare a qualcosa di brutto:
     Oh senti, Maso mio, meglio la fame,
     Andar nudi, accattare, è meglio tutto;
     Ma, se non altro, non darmi il rossore
     Che tu perda col pane anco l’onore.

E sì dicendo, a lui s’era accostata
     E dolcemente gli tendea la mano,
     Continuando con voce affannata
     A interrogarlo, a scongiurarlo invano,
     Chè da sè la respinse, e dispietata-
     -mente la minacciò quel disumano,
     E di tacer le impose, e che di volo
     Andasse a letto, e lo lasciasse solo.

Andò la dolorosa, e mezza morta
     Senza spogliarsi in letto si distese:
     E là piange, e si strugge e si sconforta,
     Cheta, in sospetto e sempre sull’intese;
     Nè molto sta, che cigolar la porta
     Udendo, sorge, e coll’orecchie tese
     Sente, pian piano, con sordo stridore,
     A doppia chiave riserrar di fuore.

Balza da letto, e prima che s’involi
     Del tutto, vuol seguirlo arditamente:
     E poi non si risolve, e de’ figlioli
     Sorge il pensiero a divider la mente;
     Ma tosto il dubbio di lasciarli soli
     Cede al timor più vivo, e più presente;
     Scende e tenta la toppa, e nulla avanza,
     E del forzarla è vana ogni speranza.