Maso, bada alla gente! Il viciname
Sparla di te; che ti se’ mal ridutto,
Che un giorno o l’altro quel giocaccio infame
T’ha da portare a qualcosa di brutto:
Oh senti, Maso mio, meglio la fame,
Andar nudi, accattare, è meglio tutto;
Ma, se non altro, non darmi il rossore
Che tu perda col pane anco l’onore.
E sì dicendo, a lui s’era accostata
E dolcemente gli tendea la mano,
Continuando con voce affannata
A interrogarlo, a scongiurarlo invano,
Chè da sè la respinse, e dispietata-
-mente la minacciò quel disumano,
E di tacer le impose, e che di volo
Andasse a letto, e lo lasciasse solo.
Andò la dolorosa, e mezza morta
Senza spogliarsi in letto si distese:
E là piange, e si strugge e si sconforta,
Cheta, in sospetto e sempre sull’intese;
Nè molto sta, che cigolar la porta
Udendo, sorge, e coll’orecchie tese
Sente, pian piano, con sordo stridore,
A doppia chiave riserrar di fuore.
Balza da letto, e prima che s’involi
Del tutto, vuol seguirlo arditamente:
E poi non si risolve, e de’ figlioli
Sorge il pensiero a divider la mente;
Ma tosto il dubbio di lasciarli soli
Cede al timor più vivo, e più presente;
Scende e tenta la toppa, e nulla avanza,
E del forzarla è vana ogni speranza.