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il sortilegio. 229


Erano sposi da cinqu’anni, e stati
     Sempre insieme su su da piccolini,
     Poi coll’andar del tempo innamorati,
     S’eran congiunti da onesti vicini.
     E dal dì che l’altar santificati
     Avea gli affetti lor, già tre bambini
     Rallegravan la rustica dimora
     Che tre rose parean côlte d’allora.

A forza di risparmio e di lavoro
     Conducean vita semplice e frugale,
     Poveri sì ma in pace, e con decoro,
     Contenti nel pudor matrimoniale;
     Quando ecco il Lotto a ficcarsi tra loro,
     Il Lotto, gioco Imperiale e Reale,
     E quella pace e quel viver onesto
     Subito in fumo andar con tutto il resto.

Vani usciti i consigli erano, e vani
     Con lui gli affanni di quella meschina,
     Che sempre più vedea d’oggi in domani
     Esso e la roba andarsene in rovina;
     Ed or facea concetti e sogni strani
     Del vederselo lì dalla mattina
     Senza toccar lavoro, o far parola,
     O consolarla d’un’occhiata sola.

E come più la sera s’appressava,
     Più lo vedea smaniante e pensieroso.
     Un po’ sedeva, un po’ cantarellava,
     Come fa l’uom che aspetta e non ha poso:
     Ed or prendeva in braccio, ora scansava
     Un fanciulletto, che tutto festoso
     Con più libero piè degli altri dui,
     Salterellava dalla madre a lui.