Erano sposi da cinqu’anni, e stati
Sempre insieme su su da piccolini,
Poi coll’andar del tempo innamorati,
S’eran congiunti da onesti vicini.
E dal dì che l’altar santificati
Avea gli affetti lor, già tre bambini
Rallegravan la rustica dimora
Che tre rose parean côlte d’allora.
A forza di risparmio e di lavoro
Conducean vita semplice e frugale,
Poveri sì ma in pace, e con decoro,
Contenti nel pudor matrimoniale;
Quando ecco il Lotto a ficcarsi tra loro,
Il Lotto, gioco Imperiale e Reale,
E quella pace e quel viver onesto
Subito in fumo andar con tutto il resto.
Vani usciti i consigli erano, e vani
Con lui gli affanni di quella meschina,
Che sempre più vedea d’oggi in domani
Esso e la roba andarsene in rovina;
Ed or facea concetti e sogni strani
Del vederselo lì dalla mattina
Senza toccar lavoro, o far parola,
O consolarla d’un’occhiata sola.
E come più la sera s’appressava,
Più lo vedea smaniante e pensieroso.
Un po’ sedeva, un po’ cantarellava,
Come fa l’uom che aspetta e non ha poso:
Ed or prendeva in braccio, ora scansava
Un fanciulletto, che tutto festoso
Con più libero piè degli altri dui,
Salterellava dalla madre a lui.