Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu/252

228 il sortilegio.


Quell’armeggío di numeri venuto
     A risapersi nel paese, il Prete
     Per un gran cabalista era tenuto,
     E che de’ terni avesse in man la rete.
     E scalzarlo parecchi avean voluto,
     Mentre che visse, sull’arti segrete
     Di menar la Fortuna per il naso,
     Pescando il certo nel gran mar del caso.

L’ultima carne maschia seppellita
     Era il Prete, la cosa è manifesta;
     Dunque la testa che andava bollita
     Era la sua, certissima anco questa;
     E tanto più che avvezzi erano, in vita,
     I numeri a bollirgli nella testa.
     Così dicendo quella gente grossa
     Pensò del Prete vïolar la fossa.

Risoluti s’accordano costoro,
     E si partiscon l’opere e le veci;
     Ammannisca il coltello uno di loro,
     Un altro il pentolone, un altro i ceci,
     E poi tutti si trovino al lavoro
     Di nottetempo, là dopo le dieci,
     Nel giorno da Mosè dato all’altare,
     Ed alle streghe nell’era volgare.

Tutto quel giorno che precesse il fatto,
     Maso, un di quelli dell’accordellato,
     Girò per casa mutolo, distratto
     E torbo come mai non era stato:
     La moglie era presente, e di soppiatto
     Coll’occhio che alle donne Amore ha dato,
     Lo guardava e guardava, a quella vista
     Facendosi anco lei pensosa e trista.