Occhio alla servitù venale e scaltra;
Ungi la rota, e tienti sull’avviso
Di non urtarla; una man lava l’altra,
Suol dirsi, e tutte e due lavano il viso:
Nel mondo va giocato a giova giova,
E specialmente se gatta ci cova.
Sempre e poi sempre un pubblico padrone
Ha un servitore più padron di lui,
Che suol fare alla roba del padrone
Come a quella di tutti ha fatto lui;1
Se l’amico avrà il suo, con questo poi
Sii pane e cacio, e datevi del voi.
Se mai nasce uno scandalo, un diverbio,
Un tafferuglio in quella casa là,
Acqua in bocca, e rammentati il proverbio:
Molto sa chi non sa, se tacer sa;
A volte, in casa propria, un Consigliere
Pare una bestia, ma non s’ha a sapere.
In quanto a lodi poi, tira pur via;
Incensa per diritto e per traverso;
Loda l’ingegno, loda la mattia,
Loda l’imprese, loda il tempo perso:
Quand’anco non vi sia capo nè coda,
Loda, torna a lodare, e poi riloda.
Pesca una dote e ridi del decoro
(Della virtù, si sa, non ne discorro);
Che se piacesse all’Eccellenze loro
D’appiccicarti un canchero, un camorro,
Purchè ti sia la pillola dorata,
Beccala e non badare alla facciata.
- ↑ Idiotismo non in grazia della rima, ma del dialogo.