Vent’anni dopo, un Frate Professore,
Gran Sciupateste d’Università,
Da vero Cicerone Inquisitore,
Encomïava la docilità
E la prudenza d’un certo Dottore
Fatto di pianta in quel vivaio là,
Dottore in legge, ma di baldacchino,
Che si chiamava appunto Gingillino.
In gravità dell’aurea concione
Messer Fabbricalasino si roga
Capo Arruffacervelli; e un zibaldone
Di Cancellieri e di Bidelli in toga
Gli fa ghirlanda intorno al seggiolone,
E di quell’Ateneo la sinagoga,
Che in lucco nero, a rigor di vocabolo,
Parea di piattoloni un conciliabolo.
Chi brontola, chi tosse e chi sbadiglia,
Chi ride del Dottore e chi del Frate,
Che ansando e declamando a tutta briglia,
Con salti e con rettoriche gambate
Circonda il caro alunno e l’appariglia
Alle celebrità più celebrate,
Calandosi a concluder finalmente
Di dotta carità tutto rovente:
« Vattene, figlio, del bel numer’uno
» De’ giovani posati e obbedïenti,
» Oh vattene digiuno
» Di ragazzate, di divertimenti,
» Di pipe, di biliardi, d’osterie,
» Di barbe lunghe e d’altre porcherie.