Come! disse Taddeo, Carlo? davvero?
Povero Carlo, è tanto amico mio!
Per me ci vada pur senza mistero,
E tanto meglio se ci sono anch’io.
Ma eh? che capo ameno che è Carlo!
Fa bene Veneranda a carezzarlo.
Così di mese in mese e d’anno in anno
Amandosi e vivendo lemme lemme,
È certa, cara mia, che camperanno
A dieci doppi di Matusalemme.
E noi col nostro amore-agro e indigesto
Invecchieremo, creperemo, e presto.
O pace santa! o nodo benedetto!
Viva la Veneranda e il suo tesoro!
Ma in somma delle somme, io non t’ho detto
Come andò che s’intesero tra loro:
Se non l’ho detto, te lo dico adesso;
Dirtelo o prima o poi, tanto è lo stesso.
Erano tutti e due del vicinato,
Piccioni della stessa colombaia;
E ciascuno nel mondo avrà notato
Che Dio fa le persone e poi l’appaia;
Che l’amore e la tosse non si cela,
Che vicinanza è mezza parentela.
Veneranda era vedova di poco;
Taddeo, scapolo, ricco e ben veduto;
E una volta, a proposito d’un cuoco,
V’era corso un viglietto ed un saluto:
Ma fino a lì, da buoni conoscenti,
La cosa era passata in complimenti.