La Maldicenza (impara, o disgraziata,
Tu che di ciarle fai sempre un gran caso)
La Maldicenza a volte s’è provata
Nelle loro faccende a dar di naso,
Tentando forse di scuoprir terreno,
O di farli dormir mezz’ora meno:
Ma per quanto le zanne abbia appuntate
Come lesine, e lunghe più d’un passo,
Questa volta, nel mordere, ha trovate
Tante suola di muscoli e di grasso,
Che per giungere al cor colla ferita,
L’ha fatta corta almen di quattro dita.
Una tal volta, immagina, fu detto
A Veneranda da una sua vicina,
Che Taddeo le celava un amoretto
Di fresco intavolato alla sordina,
E ciarlando arrivò la chiacchierona
Fino a dirle la casa e la persona.
Rispose Veneranda: O che volete,
Caspiteretta, che non si diverta?
Lo compatisco; è giovane, sapete!
Solamente rimango a bocca aperta
Che la vada a cercar tanto lontana,
A rischio di pigliare una scalmana!
Un’altra volta dissello a Taddeo
Che Veneranda, povera innocente,
Teneva di straforo un cicisbeo,
E che questo briccone era un Tenente
Che gli faceva l’amico sul muso
E dietro il Giuda, come corre l’uso.