Quando arriva Taddeo, siede e domanda:
Cara, che fai? come va l’appetito? —
Mi contento, risponde Veneranda;
E tu, anima mia, com’hai dormito? —
Undici ore, amor mio, tutte d’un fiato:
A mezzo giorno, o sbaglio, o t’ho sognato. —
E per dell’ore poi resta lì fermo,
Duro, in panciolle, zitto come un olio;
O tirando sbadigli a cantofermo,
Come se fosse zucchero o rosolio
Si succhia in pace l’apatia serena
Di quel caro faccione a luna piena.
Dal canto suo la tepida signora,
Quasi supina colla calza in mano,
Infilando una maglia ogni mezz’ora,
Ride belando al caro pasticciano,
E torna a dimandar di tanto in tanto:
Lo vuoi stamane un dito di vin santo? —
Perchè questa signora, hai da sapere,
Che invece di bijou, di porta-spilli,
Di rococò, di bocce e profumiere,
E di quei mille inutili gingilli,
Di che, sciupando un monte di quattrini,
Tu gremisci vetrine e tavolini;
Come donna da casa e che sa bene
Il gusto proprio e quello di chi l’ama,
In luogo di quei ninnoli, ci tiene
Bottiglie, che so io, bocche di dama,
Paste, sfogliate ripiene di frutta,
Tanto per non amarsi a bocca asciutta.