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i brindisi. | 167 |
pasticci di Strasburgo; vi fu un po’ di politica, un po’ di maldicenza; per farla breve fu una cena delle solite.
Alla fine, cioè due ore dopo la mezzanotte, il padrone nel congedare i convitati disse loro: spero che il primo giorno di quaresima vorrete favorirmi alla mia villa a fare il carnevalino. Ringraziarono, e accettarono tutti. Ma uno, o che si dilettasse di versi, o che avesse alzato il gomito più degli altri, gridò: alto, Signori; prima di partire, i due poeti ci hanno a promettere per quel giorno di fare un brindisi per uno. Gli altri applaudirono, e i poeti bisognò che piegassero la testa.
Venne il giorno delle ceneri, e nessuno mancò nè alla predica nè al desinare. Passato questo nè più nè meno com’era passata la cena: Sor Abate, tocca a lei, gridò quello stesso che aveva proposto i brindisi; e l’Abate che in quei pochi giorni aveva chiamato a raccolta i suoi studii tanto biblici che volterriani, accomodandoli all’indole della brigata, si messe in positura di recitante, bevve un altro sorso che fu come il bicchiere della staffa, e poi spiccò la carriera di questo gusto:
Io vi ho promesso un brindisi, ma poi
Di scrivere una predica ho pensato
Perchè nessuno mormori di noi;
Perchè non abbia a dir qualche sguaiato
Che noi facciamo la vita medesima
Tanto di carneval che di quaresima.
Senza stare a citarvi il Mementomo
O quell’uggia del Passio o il Miserere,
Col testo proverò che un galantuomo
Può divertirsi, può mangiare e bere,
E fare anche un tantin di buscherio,
Senza offender Messer Domine Dio.
Narra l’antica e la moderna storia
Che i gran guerrieri, gli uomini preclari,
Eran famosi per la pappatoria;
Tutto finiva in cene e in desinari:
E di fatto un eroe senza appetito,
Ha tutta l’aria d’un rimminchionito.