Pensa alle ruberie più strepitose,
Se d’Arpia battezzata ovver giudea
Ma’ mai t’hanno ghermito ugne famose;
Son tutte al paragone una miscea:
Questo socero tuo, guarda se pela,
Non le sogna nemmanco per idea.
Figlio e nipote per lunga sequela
D’anni continuando il mio mestiere,
Nel mar dell’angherie spiegò la vela.
Quelle nostre repubbliche sì fiere,
Moge obbediano un Duca, un Vicerè,
Che significa birro e gabelliere,
Quando un postero mio degno di me
Rimpatriò ricchissimo, e il Bargello
Del suo rimpatriar seppe il perchè.
E qui mutando penne il nuovo uccello,
Fatta la roba, fece la persona,
E calò della Corte allo zimbello.
Da quel momento in casa ti risuona
Un titolaccio col superlativo,
E a bisdosso dell’arme hai la Corona.
Aulico branco nè morto nè vivo
Da costui fino a te fu la famiglia,
Ebete d’ozio e in vivere lascivo,
Ridotto al verde per dorar la briglia:
Perchè ti penti, o bestia cortigiana?
Prendi dell’usurier, prendi la figlia.
Chè siam tutti d’un pelo e d’una lana.