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la scritta. 155


Pensa alle ruberie più strepitose,
     Se d’Arpia battezzata ovver giudea
     Ma’ mai t’hanno ghermito ugne famose;

Son tutte al paragone una miscea:
     Questo socero tuo, guarda se pela,
     Non le sogna nemmanco per idea.

Figlio e nipote per lunga sequela
     D’anni continuando il mio mestiere,
     Nel mar dell’angherie spiegò la vela.

Quelle nostre repubbliche sì fiere,
     Moge obbediano un Duca, un Vicerè,
     Che significa birro e gabelliere,

Quando un postero mio degno di me
     Rimpatriò ricchissimo, e il Bargello
     Del suo rimpatriar seppe il perchè.

E qui mutando penne il nuovo uccello,
     Fatta la roba, fece la persona,
     E calò della Corte allo zimbello.

Da quel momento in casa ti risuona
     Un titolaccio col superlativo,
     E a bisdosso dell’arme hai la Corona.

Aulico branco nè morto nè vivo
     Da costui fino a te fu la famiglia,
     Ebete d’ozio e in vivere lascivo,

Ridotto al verde per dorar la briglia:
     Perchè ti penti, o bestia cortigiana?
     Prendi dell’usurier, prendi la figlia.

Chè siam tutti d’un pelo e d’una lana.