Un mantello di panno da eremita,
Tra la maglia di lana e il giustacuore
D’un cingolo di cuoio stretta la vita.
Corto di storia, il povero signore
Lo prese per un buttero, e tra ’l sonno
Gli fece un gesto e brontolò: va fuore.
Sorrise e disse: io son l’arcibisnonno
Del nonno tuo, lo stipite de’ tuoi,
Nato di gente che vendeva il tonno.
Oh via non mi far muso, e non t’annoi
Conoscer te d’origine sì vile,
Comune, o nobilucci, a tutti voi.
Taccio come salii su, dal barile
Di quel salume; ma certo non fue
Nè per onesta vita mercantile,
Nè per civil virtù, che d’uno o due
Prese le menti, ond’ei poser nell’arme
Per tutta nobiltà l’opere sue.
Sai che la nostra età fu sempre in arme:
Io per quel mar di guerre e di congiure
Tener mi seppi a galla e vantaggiarme.
Ma tocche appena le magistrature,
Fui posto al bando, mi guastâr le case,
E a due dita del collo ebbi la scure.
A piedi, con quel po’ die mi rimase,
Giunsi a Parigi, e un mio concittadino
D’aprir bottega là mi persuase.
Un buco come quel di un ciabattino
Scovammo; e a forza di campare a stento,
E di negar Gesù per un quattrino,
N’ebbi il guadagno del cento per cento:
Quindi a prestar mi detti e feci cose,
Cose che a raccontarle è uno spavento.