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la scritta. 145


Essa si spiccica
     Meglio che sa,
     E si divincola
     Di qua e di là.

Lo sposo a latere,
     Ridendo a stento,
     Succhia la satira
     Nel complimento;

Ma, come l’asino
     Sotto il bastone,
     Si piega, e all’utile
     Doma il blasone.

Legato e gonfio
     Come un fagotto,
     Con tutta l’aria
     D’un gabellotto,

Ritto a ricerere
     Sta l’Usuraio:
     Ciarla, s’infatua,
     È arzillo e gaio,

Par che dal giubilo
     Non si ritrovi.
     Cogl’illustrissimi
     Parenti nuovi

Si sdraia in umili
     Salamelecchi,
     E passa liscio
     Su quelli vecchi.

Anzi affacciandosi
     Spesso al salone
     Grida: «Ma diavolo.
  » Che confusione!