O mio candido amico, o delle fonti
Onde sgorga ricchezza e si comparte,
Sagace scrutator, più volte intesa 105La rettorica nenia avrai di gufi
Avversi al sole. Veneranda, augusta
È povertà, se al focolar si assida
D’operoso mortal che lotta indarno
Contro i colpi d’indomita fortuna. 110Ma se d’ignavia e d’ignoranza è figlia;
Se la man che il Signor fece al lavoro,
Altri supplice tenda al passaggero;
O finchè gli anni arridono e le forze,
Pago del vitto giornalier, non curi 115L’egra vecchiaia provveder di schermi;
Sommo de’ guai che attristano la vita,
È povertà che con ferro e con foco,
Come sozzo mortifero serpente,
Fugar conviene. Allor che l’abituro 120Dell’artigiano io visito e le stanze
Nitide veggo; ripulite sedie
E vasellami; d’odorata persa
O di semplice timo i davanzali
Veggo fioriti, di virtù mi sembra 125Dolce un profumo errar per la ridente
Magion che la fatica orna e consacra.
Ma qual d’affetti gentilezza? o quale
Dignità di pensier dentro l’immonde
Umide cave del disagio? Il lezzo,