Lo sguardo a terra, in gran pensier s’immerse. 300Poi di subita fiamma il volto acceso,
Acceso le pupille, “E che paventi,
Sclamava, o Galileo? L’orma di Dio
Chiara così nell’universo appare,
Che a Lui naturalmente il cor s’innalza 305Non gravato di fango. Ove pur fosse
Che rigida scïenza, a’ corpi intesa,
L’alme obbliasse: riprendesse i regni
Atei la carne: le robuste fedi,
I magnanimi istinti e le speranze 310Immortali dell’uomo orrenda piena
Di torbidi marosi travolgesse;
Conservatrice del superno foco
Che l’avvenir rallumi, arca di Dio,
Sul tetro abisso Poesia galleggi; 315E alle giovani stirpi, che redente
Scendon dal monte a ripigliar gli alberghi,
L’antico ver, che gli avi tralignati
Ebbero a scherno, un’altra volta impari.
Odimi, o padre. D’amoroso ospizio 320Nella regal Partenope cortese
L’aureo Manso mi fu. Dagli anni oppresso
E da fortuna, vacillante, infermo
Visto avean quelle soglie il gran Torquato
Cercarvi asilo. In riva al mar torreggia 325L’ampio palagio. Il nobile signore
La stanza m’additava, e ne’ viali