Che Lattea nominaro e primo io scorsi
Di stelle innumerabili corrusca, 135Tu, negletto monarca, umil veleggi;
E tra le sfere turbinanti illeso
D’invisibil nocchier la man ti scorge.
Gloria a Lui, gloria a Lui! Scender di soli
Fitta una pioggia per l’Immenso io vidi, 140Quali di rosa colorati e d’oro,
Quali d’indaco aspersi; astri con astri
Avvicendarsi e mobili universi
D’altri universi discovrir la via,
Io vidi esterrefatto; e quando giunta 145Al limitar del vuoto e della notte
La veduta moría, l’agil pensiero
Correva ancor gli spazi immensurati
E novi soli dal fecondo abisso,
Come sabbia dal mar, nascer vedea. 150O sventurato, cui de’ cieli aperto
Il volume non fu! Più sventurato
Chi nell’ardente poesia de’ cieli,
Stupido testimon, non sente Amore!”
Taceva Galileo. Collo strumento 155Conquistator della distanza al padre
Tornata era la donna e l’occhio immane
N’avea volto al tuo disco, aerea Luna,
Che a mezzo il tuo cammino alta splendevi.
Lo sguardo v’appressò, nè lungamente