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martino. 393

D’acute punte allor trafitto invoca
La natura, ma indarno;
Gli abiti rei l’han stretto di catene
20Che invan s’affanna a sciogliere; e frattanto
Per illuder sè stesso
Di libero e giulivo si dà vanto.

    Pure di tempo in tempo: o quando ride
La bella primavera pe’ fioriti
25Lussureggianti prati: o quando autunno
Leva in sui campi il capo incoronato
Di poma e d’uva che contrasta all’oro
Il biondo colorito,
L’uomo della città con sua gran pena
30Si move e si trascina
Seco recando a’ campi la catena.

Son io, son io (così dicea Martino
Negl’istanti d’un lucido intervallo)
Lo snaturato figlio,
35Che un istinto segreto, ultimo avanzo
Della materna eredità, sospinge
Alla tenera madre, al piè träendo
La servile catena
Del vanitoso fasto
40E dell’ambizïon non mai satolla
Che di spine m’ingombrano il cammino.
Madre, quanto a’ tuoi sguardi io son meschino!