Ne fa parer che l’Apennin non parta. 215O miei cercati cieli! Are di Pisa,
A cui pregando un dì tanto baleno
Mi percosse di ver! Tomba materna!
E tu, di gigli e di colombe albergo,
Solitudine pia, che tanta parte 220Di questo cor ne’ tuoi recinti ascondi,
Aura usciva da voi, che ventilando
Il santo foco, ch’io credeva estinto,
Alla gelata mia ragion di pugno
L’arme scotea. Non ridere, straniero! 225Quando l’incendio la magion divora,
Anche il bronzo si fonde, e vacillando
Il simulacro dell’eroe dilegua
In rivoli pel suol. L’età venture
A me d’invitto non daran la palma; 230Ma de’ miei padri mi sarà giocondo
Addormentarmi nella Fè: ne andranno
Le mie figlie felici; e di riposo
A questa faticata anima Iddio
Largo sarà, di cui l’augusto accento 235A riverir nel Roman Padre appresi.”
“Nel Roman Padre? E chi di Dio l’accento,
Il Britanno sclamò, dal labbro attende
Dello scettrato Antistite? Due lune
Volte non sono ch’io lasciai le mura 240Della città che all’anima presume