Cui la porpora ancor dell’intelletto 160Il lume non offese, a’ novi veri
Segreto applaude, e sulle tue sventure,
Che immortale di Roma onta saranno,
Versa, arrossendo, generoso pianto.”
“Roma! Roma!” interruppe e, scosso il capo, 165Seguì pensoso Galileo; “fatale
O col brando de’ Cesari percota
I troni tuttiquanti; o colla Fede
Tragga al suo carro incatenato il mondo,
Fatale è la sua possa, e tenta indarno 170A lei sottrarsi umano spirto. In cielo
V’ha di stelle una via, che via di Roma
Disser le genti. Da’ selvosi laghi
Lo Scandinavo pescator la vede,
E la vede da’ monti ond’esce il Nilo, 175L’Abissino pastor. Della capanna
Il finestrel chiudendo e per più soli
All’avverse stagioni abbandonando
L’avito poderetto, a Roma ascende,
Come all’ostello d’un’antica madre 180Che lasciò da fanciullo, il pellegrino.
Sente passando di calcar la polve
Di domestici eroi: dalle ruine
De’ morti imperi uscir ode una voce
Conosciuta che a’ secoli maestra 185Fu del viver civile; e nel sepolcro,