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timossena | 141 |
II.
95Di mattutina nebbia ancor velate
Le falde eran del monte, e non veduto
Già le sue cime illuminava il sole.
Con lungo mormorìo di giogo in giogo,
Di vallone in vallon sciogliea le chiome
100La divina foresta a ber la pioggia
Del vitale splendor. Lenta saliva
La bella compagnia per torto calle,
Ora al sol discoverta ed or nascosa
Dietro i fianchi del monte. Il lungo velo
105Di Timossena fluttuando addietro
Si portavano l’aure. In volto impresso
Ella del core lo scompiglio avea:
Pur quella festa del creato: i fiori
Di rugiada stillanti: l’usignuolo
110Ch’impaurito abbandonava il nido
Al suo passar: di Copa il lago a manca,
Il Parnaso a diritta e trasvolante,
Con teso collo, altissima ne’ cieli
La grù smarrita che le sue compagne
115Sull’Emo iva a trovar: cotanto riso
Della terra e del ciel di muta gioia
Colpìan la pellegrina. A lei Plutarco
Di Ascra il fonte additava e sculto in bronzo
Il poeta de’ Giorni, a cui le pecchie