Perseguitando, e chi la propria gente
Conculcando e l’estrane, o di remoti
Lidi turbando la quiete antica
Col mercatar, con l’armi, e con le frodi,
La destinata sua vita consuma.
Te più mite desio, cura più dolce
Regge nel fior di gioventù, nel bello
April de gli anni, altrui giocondo e primo
Dono del Ciel, ma grave, amaro, infesto
A chi patria non ha. Te punge e move
Studio del vero, e di ritrarre in carte
Il bel che raro e scarso e fuggitivo
Appar nel mondo, e quel che più benigna
Di Natura e del Ciel, fecondamente
A noi la vaga fantasia produce
E ’l nostro proprio error. Ben mille volte
Fortunato colui che la caduca
Virtù del caro immaginar non perde
Per volger d’anni; a cui serbare eterna
La gioventù del cor diedero i fati;
Che ne la ferma e ne la stanca etade,
Così come solea ne l’età verde,
In suo chiuso pensier natura abbella,
Morte, deserto avviva. A te conceda
Tanta ventura il Ciel; ti faccia un tempo