Chè la illibata, la candida imago
Contaminar temea sculta nel seno;
Come per soffio tersa onda di lago.
E quel di non aver goduto appieno
Pentimento, che l’anima ci grava,
E ’l piacer che passò cangia in veleno,
Per li fuggiti dì mi stimolava
Tuttora il sen: chè la vergogna il duro
Suo morso in questo cor già non oprava.
Al Cielo, a voi, gentili anime, io giuro
Che voglia non m’entrò bassa nel petto,
Ch’arsi di foco intaminato e puro.
Vive quel foco ancor, vive l’affetto,
Spira nel pensier mio la bella imago,
Da cui, se non celeste, altro diletto
Giammai non ebbi, e sol di lei m’appago.