E lunga doglia il sen mi ricercava;
Com’è quando a distesa Olimpo piove
Malinconicamente e i campi lava.
Ned io ti conoscea, garzon di nove
E nove Soli, in questo a pianger nato
Quando facevi, amor, le prime prove.
Quando in ispregio ogni piacer, nè grato
M’era de’ campi il riso, o de l’aurora
Queta il silenzio, o il verdeggiar del prato,
Anche di gloria amor taceami allora
Nel petto, cui scaldar tanto solea,
Chè di beltate amar vi fea dimora.
Nè gli occhi a i noti studi io rivolgea,
E quelli m’apparian vani per cui
Vano ogni altro desir creduto avea.
Deh come mai da me sì vario fui;
E tanto amor mi tolse un altro amore?
Deh quanto, in verità, vani siam nui!
Solo il mio cor piaceami, e col mio core,
In un perenne ragionar sepolto,
A la guardia seder del mio dolore.
E l’occhio a terra chino o in se raccolto,
Di riscontrarsi fuggitivo e vago
Nè in leggiadro soffria nè in turpe volto: