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e indegna di un popolo cristiano: Iniquam esse torturam, et Christianas respublicas non decentem cordate assero. Finalmente un trattato completo scrisse su tal argomento Giovanni Grevio, col titolo: Tribunal reformatum; in quo sanioris et tutioris justitiae via judici Christiano in processu criminali commonstratur, rejecta et fugata tortura, cujus iniquitatem et multiplicem fallaciam, atque illicitum inter Christianos usum libera et necessaria dissertatione aperuit Joannes Grevius, etc.

Da questa serie d’autorità sembra bastantemente chiaro il torto di coloro che asseriscono che sia un nuovo ritrovato de’ moderni filosofi l’orrore per la tortura: essi non possono aspirare a questa gloria di aver i primi sentita la voce della ragione e dell’umanità su di tale proposito; ma tanto è antica la contraddizione a questa barbara costumanza, quanto è antico il ragionare e l’abborrire le inutili crudeltà. Io non citerò adunque alcuno de’ moderni filosofi, contento di aver allegate le autorità di Cicerone, di S. Agostino, di Quintiliano, di Valerio Massimo e degli altri.

Resta finalmente da conoscere, se quello che poté praticarsi presso la repubblica degli Ebrei, presso la Grecia e presso Roma, sia eseguibile ancora ai tempi nostri. Io su tal proposito citerò uno squarcio di quello che il re di Prussia ha scritto nella dissertazione, Dei motivi di stabilire o d’abrogare le leggi: «Mi si perdoni, dice il reale Autore, se alzo la voce contro la tortura; ardisco assumere le parti dell’umanità contro di una usanza indegna de’ Cristiani, indegna di ogni nazione incivilita, e tanto inutile quanto crudele. Quintiliano, il più saggio e il più eloquente retore, riguarda la tortura come una prova di temperamento: uno scellerato robusto nega il fatto, un innocente gracile se ne accusa. È accusato un uomo: vi sono degl’indizj, il giudice vuol chiarirsene; si pone lo sgraziato uomo alla tortura. Se egli è innocente, qual barbarie è ella mai l’avergli fatto soffrire il martirio? Se la violenza del tormento lo sforza ad accusare sè stesso indebitamente, e quale detestabile inumanità è ella mai quella di opprimere cogli spasimi i più violenti, e condannare poi al supplizio un cittadino virtuoso? Sarebbe men male lasciar impuniti venti colpevoli, di quello che lo è il sacrificare un innocente. Se le leggi vengono stabilite per il bene de’ popoli, come è mai possibile che si tollerino di tali che prescrivono ai giudici di commettere metodicamente delle azioni tanto atroci, e che ributtano la stessa umanità? Sono già otto anni (allora che il Re scriveva, ora saranno trenta) dacché la tortura è abolita in Prussia; siamo sicuri di non confondere il reo coll’innocente, e la giustizia non perciò ha ella perduto punto del suo vigore:» Qu’on me pardonne si je me recrie contre la question. J’ose prendre le parti de l’humanité contre un usage honteux à des Chrétiens et à des peuples policés, et, j’ose ajouter, contre un usage aussi cruel qu’inutile. Quin-