il supplizio non dicendolo esattamente, come mai avrebbe mutilata la circostanza principale nel tempo in cui il complice supposto, cioè il barbiere Mora, co’ tormenti l’avrebbe scoperta? Se dunque non si verifica che il Piazza abbia somministrato la bava, si vede inventata la forzata istoria del Mora. Questo ragionamento poteva pur farlo il giudice; ma sgraziatamente la ragione non ebbe parte veruna in tutta quella sciagura. Il giudice allora disse al Piazza, che dal processo risultava che egli avesse somministrato la bava de’ morti al barbiere, e su di ciò nuovamente il giudice l’interrogò così: Che dica per qual causa nel suo esame e confessione, qual fece per godere l’impunità, non depose questa particolarità, sostanza del delitto, siccome era tenuto di fare? E a ciò rispose il Piazza: Della sporchizia cavata dalla bocca dei morti appestati io non l’ho avuta, nè portata al barbiere, e del resto che ho confessato, adesso che sono stato interrogato, non me ne sono ricordato, e per questo non l’ho detto. Allora gli venne intimato, che per non aver egli mantenuta la fede di palesare la verità, e per aver diminuita la sua confessione non poteva più godere della impunità, a norma ancora della protesta fattagliene da principio. A questa minaccia il Piazza si rivolse subito ad accordare di aver somministrato la bava, e di averne data al barbiere, non già una libbra, come disse il povero Gian-Giacomo Mora, ma così un piattellino in un piatto di terra. Obbligato poi dall’interrogazione a dire come seguisse tutto ciò, eccone la risposta, di cui l’assurdità abbastanza da sé sola si manifesta. Così dunque rispose lo sgraziato Piazza: Io mi mossi instato e ricercato dal detto barbiere, il quale mi ricercò a così fare con promessa di darmi una quantità di danari, sebbene non la specificò, dicendomi che aveva una persona grande che gli aveva promesso una gran quantità di danaro per far tal cosa, e sebbene fosse ricercato da me a dirmi chi era questa persona grande, non me lo volle dire, ma solamente mi disse di attendere a lavorare ed untare le muraglie e porte, che mi avrebbe dato una quantità di danari. Conviene ricordarsi che il barbiere era un povero uomo, e basta vedere lo spazio che occupava la sua povera casetta. Egli poi era un padre di famiglia con moglie e figli, e non un ozioso e vagabondo, del quale si potesse far scelta per un simile orrore. Sin qui a forza di tormenti e di minacce si è trovato modo di far coincidere i due romanzi, e costringere il contraddicente a confermare la favola di chi aveva parlato prima. Vengono ora in campo da questa risposta due cose affatto nuove: Una si è, che il barbiere promettesse una quantità di danari; l’altra si è, che in questo affare vi entrasse una persona grande: né l’una né l’altra era stata detta dal Mora. Si pose dunque nuovamente all’esame il Mora. Interrogato se egli avesse promesso una quantità di danari al Piazza, rispose il Mora nel quinto esame del giorno 2 luglio, 1630: Signor no; e dove vuole V. S.