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sulla tortura. 15

cosa facci lo smoglio, ma dico bene che per rispetto alla ontuosità, che si vede in quest’acqua può essere causata da qualche panno ontuoso lavato in essa, come sarebbe mantili, tovaglie e cose simili; ma perché in fondo di quell’acqua vi ho vista ed osservata la qualità della residenza che vi è, e la quantità in rispetto alla poca acqua, dico e concludo non potere in alcun modo a mio giudizio essere smoglio. Le due lavandaje lo giudicano smoglio con delle furfanterie e con qualche alterazione; il medico dice che in alcun modo non è smoglio, e lo asserisce perché a proporzione del sedimento vi è poca acqua, quasi che dopo quindici giorni che stava a cielo scoperto nel mese di giugno non potesse l’acqua essere svaporata per la maggior parte! Fa ribrezzo il vedere con quanta ignoranza e furore si procedesse e dagli esaminatori e dagli esaminati, e quanto offuscato fosse ogni barlume di umanità e di ragione in quelle feroci circostanze. Due altri, cioè il fisico Giambattista Vertua e Vittore Bescapè decisero presso poco come il fisico Carcano, e conclusero di non saper conoscere che composto fosse quello della caldaja.

Su questo giudizio e sulla deposizione del commissario Piazza, che anche al confronto col barbiere Mora sostenne l’accusa datagli, esclamando sempre il Mora e dicendo: Ah Dio misericordia! non si troverà mai questo, andò progredendo il processo.

Terminato il confronto si pose al secondo esame il Mora. Il Piazza aveva detto di essere stato a casa del Mora, aveva citati Baldassare Litta e Stefano Buzzi come testimonj del fatto. Esaminato il Litta il giorno 29 giugno, se mai ha visto il Piazza in casa o bottega del Mora, rispose: Signor no. Esaminato il Buzzi nel giorno istesso, se sa che tra il Piazza e il barbiere passi alcuna amicizia, rispose: Può essere che siano amici e che si salutassero, ma questo non lo saprei mai dire a V. S. Interrogato, se sa che il detto Piazza sia mai stato in casa o bottega del detto barbiere, rispose: Non lo saprei mai dire a V. S.. Tali funno le deposizioni de’ due testimonj, che il Piazza citò per provare di essere stato a casa del barbiere. Il barbiere negava che fosse mai stato il Piazza a casa di lui. Su questa negativa il barbiere fu posto a crudelissima tortura col canapo. Ciò si eseguì il giorno 30 di giugno. Il povero padre di famiglia Gian-Giacomo Mora, uomo corpulento e pingue, a quanto viene descritto nel processo, prima di prestare il giuramento si pose ginocchioni avanti il Crocifisso ed orò, indi baciata la terra si alzò e giurò. Quando cominciarono i tormenti esclamò: Gesù Maria sia sempre in mia compagnia, son morto. Il tormento cresceva, ed egli esclamava, protestava la sua innocenza e diceva: Vedete quello che volete che dica che lo dirò. Fa troppo senso all’umanità il seguitare questa scena, che non pare rappresentata da uomini, ma da que’ spiriti malefici che c’insegnano essere occupati nel tormentare