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caldaja visibile a tutti, in una casa dove v’erano più uomini, perché il Mora aveva figli e moglie, come consta anche dal processo? Le tenere fanciulle e la figlia, per la quale risulta che aveva fatto un unguento per i vermi, potevano elleno essere partecipi del secreto? Potevasi lasciare in libertà di ragazzi un veleno che uccide col tatto, riponendolo in una caldaja fissata nel muro del cortile? Dopo che era tanto solenne il processo da sei giorni, era poi egli possibile che il fabbricatore e distributore dell’unto conservasse placidamente quel corpo di delitto alla vista, riposto nel cortile? Nessuno di tai pensieri venne in capo al giudice. Interrogato il Mora cosa contenesse quella caldaja, rispose nell’atto della visita: l’è smoglio, cioè ranno. Nuovamente poi interrogato nel primo esame, rispose: Signore, io non so niente, l’hanno fatto far le donne; che ne dimandino conto da loro che lo diranno; e sapeva tanto io che quel smoglio vi fosse, quanto che mi credessi d’esser oggi condotto prigione: e quello è mestiero che fanno le donne, del quale io non mi impedisco. Su di questo proposito interrogata la moglie dello sventurato Mora, per nome Chiara Brivia, risponde d’aver fatto il bucato quindici giorni prima, e d’aver lasciato del ranno nella caldara, quale è là nel cortino.

Questo ranno doveva essere il corpo del delitto. Si esaminarono alcune lavandaje. Margarita Arpizzanelli prima di visitare il ranno propala la sua teoria, dicendo al giudice: Sa V. S. che con il smoglio guasto si fanno degli eccellenti veleni che si posson fare? Si vede che il fanatismo era al colmo, e che le persone che si esaminavano, a costo d’inventare nuove e sconosciute proprietà, volevano sacrificare una vittima, e credevano di servir Dio e la patria inventando un delitto. Si visita il ranno da questa Arpizzanelli lavandaja, e questa giudica: Questo smoglio non è puro, ma vi è dentro delle furfanterie, perché il smoglio puro non ha tanto fondo, nè di questo colore, perché lo fa bianco, bianco, e non è tacchente come questo, il quale ha brutto colore, ed è tacchente, e sta a fondo, e pare cosa grassa; ma quello del vero smoglio, in movendosi il vaso in che si trova, si move tutto il detto fondo. Presso poco diè lo stesso giudizio l’altra lavandaja, Giacomina Endrioni, che disse: Mi pare che vi sia qualche alterazione, ed il smoglio si vede che quanto più se gli ruga dentro diventa più negro e più infame. Con lo smoglio marzo, cattivo si fanno di gran porcherie e tossichi. Non credo che verun chimico saprebbe fare un veleno coll’acqua del bucato. In una bottega poi di un barbiere, dove si saranno lavati de’ lini sporchi e dalle piaghe e da’ cerotti, qual cosa più naturale che il trovarvi un sedimento viscido, grasso, giallo dopo varj giorni d’estate?

Nè fu meno funesto il giudizio de’ fisici. Il fisico collegiato Achille Carcano concluse con quella opinione: Io non ho osservato troppo bene che