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sulla tortura. | 5 |
una malignamente immaginata diceria. Celebre è il fatto accaduto al venerabile nostro Ludovico Settala, uomo sommo per que’ tempi, non tanto per l’erudizione, la coltura, la scienza medica e le cognizioni di storia naturale di cui il nostro museo ebbe fra i contemporanei d’Europa il primato, quanto per la nobiltà e virtù del suo animo, che disinteressatamente e instancabilmente usò dei talenti a beneficio del popolo. Questi mentre cavalcava, siccome allora era costume de’ medici, venne attorniato tumultuosamente da una folla di uomini, donnicciuole, fanciulli, ed ogni classe di plebaglia, indi villanissimamente insultato quale principale autore della opinione che nella città vi fosse la pestilenza, che le turbe esclamavano essere unicamente ne’ peli della di lui barba: Ita gravissimus optimusque senex, et antistes sapientiae Septalius, qui innumeris pene mortalibus vitam excellentia artis, quive multis etiam liberalitate sua subsidia vitae dederat, ob petulantiam, stoliditatemque multitudinis periculum adiit. Così il Ripamonti, pag. 56.
Convenne finalmente col crescere della peste e il moltiplicarsi giornalmente il numero de’ morti disingannare il popolo, e persuaderlo che il malore purtroppo era nella città, e laddove i discorsi nessun effetto producevano, si dovettero far manifesti sopra gran carri gli ammassi de’ cadaveri nudi aventi i bubboni venefici, e così per le strade dell’affollata città girando questo spettacolo portò infine la convinzione negli animi, e forse propagò più estesamente la pestilenza. Allora fu che il popolo furiosamente si rivolse ad ogni eccesso di demenza. Nei disastri pubblici l’umana debolezza inclina sempre a sospettarne cagioni stravaganti anzi che crederli effetti del corso naturale delle leggi fisiche. Veggiamo i contadini attribuir la gragnuola non già alle leggi delle meteore, ma piuttosto alle streghe. Veggiamo i saggi Romani istessi al tempo, in cui erano rozzi, cioè l’anno di Roma 423 sotto Claudio Marcello e Cajo Valerio, attribuire la pestilenza, che gli afflisse a’ veleni apprestati da una troppo inverosimile congiura di matrone romane: come Livio, lib. VIII, cap. XII, Dec. I: Proditum falso esse venenis absumptos, quorum mors infamem annum pestilentia fecerit. Veggiamo in Napoli, pure nel secolo scorso, cioè nel 1656, attribuita la pestilenza agli Spagnuoli o allo stesso viceré per rovinare il popolo con polveri pestifere, e si credette che per la città andavano girando persone con polveri velenose e che bisognava andar di loro in traccia per isterminarle; così in varie truppe uniti andavan cercando questi sognati avvelenatori, ed avendo incontrati due soldati del torrione del Carmine, affin di attaccar brighe che poi finissero in tumulti, avventaronsi sopra di essi, imputandoli di aver loro trovato addosso la sognata polvere. Al rumore essendo accorsa molta gente, per buona sorte vi capitò ancora un uomo dabbene, il quale con soavi parole e moderati con-