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rompeva in continue esclamazioni. Palpitava anche talora, quando parea che il garzone fosse in pericolo; talora si ricolmava di gioja, quand’era prossima la vittoria; ed alla fine, poichè a lui rimase la corona, si alzò ella dal seggio, stimolata dall’inquieto pensiero di soddisfare gli occhi e l’animo ancora piuttosto curioso che amante. Scese però nell’arena, colla moltitudine accorsa ad applaudire il vincitore, e a lui si accostò; ma siccome timida donzella, resa anche più dubbiosa da i non conosciuti palpiti del cuore, che le si turbava nell’avvicinarsi al gratissimo oggetto, stette confusa nella turba affollata d’intorno, rimirandolo con avidi sguardi e furtivi. Quando alla fine, vinta da subitaneo impulso, staccò dal seno un mazzo di fiori trattenuto dalla fascia, e penetrando verso il garzone, gli si presentò recandogli insieme i fiori, e cantando all’improvviso questi versi, allora in lei formati dall’impeto del miglior estro, cioè l’amore: