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samente l’onda imbevuta. Così trascorsi qualche spazio nell’interminabil cielo, quando (oh capriccio veramente da bellissima Dea!) lasciò la fascia, io ricaddi, e udii dal basso, nuovamente luttando col pelago, sorridere fra le nubi la scherzevole protettrice, come suolsi da’ mortali, allorchè ne’ piacevoli trastulli cada alcuno senza offesa. E per verità non fu maligno quel di lei sorriso; perchè io vidi immantinente correre verso di me, tratta dalle colombe sulla superficie de’ flutti, amplissima conca del prezioso colore delle perle, sotto la quale era un asse di corallo, in cui si volgevano le ruote, io non saprei di qual materia, dovendovi bastare, che tanto io osservassi in momenti così pericolosi. Riconobbi, che era il cocchio della Dea, benchè giammai da me veduto, al certo indizio delle colombe a lei sacre, e però mi afferrai colle mani al lembo della conca, e dentro mi vi trassi e m’assisi, lasciando