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forto all’affanno mortale, ma bensì nuovo veleno viepiù pernicioso al di lei cuore. Nondimeno ella, già avidamente sorbendo l’immedicabile tosco, tenea fissi gli occhi con alito sospeso, alle divine sembianze del nocchiero di Venere. Ma poi avendo ed egli ed Eutichio, e tutti di mano in mano profferite varie amichevoli esortazioni, ed accorrendo i servi, quel moto, quel tumulto, quelle voci confermarono il dubbioso testimonio degli occhi, onde cangiandosi la nebbia di morte in sereno contento, domandò Saffo palpitando; Vivi Faone? Ed egli a lei stendendo la mano per soccorrerla a rialzarsi, rispose; O pregiatissimo ingegno, io vivo per certo, ma non è maraviglia, se ancor vedendomi ne dubiti, perchè incredibile è la mia salvezza. Ma verrà forse altro tempo, in cui di me si ragioni, perchè ora è ben più giusto, che sieno tutti i nostri pensieri a te rivolti. Alle quali parole viepiù ella confortata, siccome