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Chiuse il silenzio le mie labbra, aperte
Solo a i sospiri: e sol per lor faconde,
D’ogni altro favellar furo inesperte.
L’amor m’infonde
Sottil fuoco vorace entro le vene,
Mi benda gli occhi, più non odo, sento
Che vivo ancor, ma vivo delle pene
Coll’alimento.
Scorre per le convulse membra il gelo
Delle stille di morte, io mi scoloro
Siccome il fior diviso dallo stelo:
Ecco già moro.
Oh, benchè estremo, avventuroso fiato,
Se giunge ad ammollir quel cuor spietato!
Questa ch’io dico ode a Faone, ben so che altri asseriscono dedicata ad una fanciulla da lei amata con disdicevole delirio. E tanto crebbe questa fama contraria al nome di così leggiadro ingegno (forse promossa dalla invidiosa malignità de’ garruli poeti), che fu asserito da taluni, come prima dell’infelice amore ch’io descrivo, ella fosse stata immersa in dissoluti costumi, a segno che le rimanesse l’ignominioso titolo di