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PARTE PRIMA
e in morte almeno vi esorto ad essere migliori che non foste nella
vita. —
A queste parole l’Emiliano declinò le pupille fino allora minacciose, e ricoperse la fronte con la destra come chi si penta di alcuna opera malvagia. Quindi gli grondavano poche lagrime sul petto velloso, al quale chinò il mento, cosí che parea sentire gravissima tristezza. Gli altri Scipioni volgeano ritrosi le fronti loro e le velavano col lembo delle toghe. Allora Pomponio esclamò: — Ahi perché non veggono queste lagrime illustri i popoli ora viventi nella Iberia, e nell’Affrica, e nell’Asia, regioni da tale feroce stirpe inondate da ben altre lagrime di orfani, di vedove, di genitori disperati! Sarebbe questo almeno un disinganno prezioso, atto a soddisfare la tarda posteritá, ancora forse con voi sdegnata per gli oltraggi sofferti dagli antenati suoi. —
COLLOQUIO QUINTO
Segue Pomponio a biasimare le oppressioni contro gl’Iberi e contro i Galli.
Cesare incolpa questi di barbari costumi, e Pomponio insiste
che ne aveano di piú barbari i Romani.
Tacque Pomponio, ed aspettava con baldanza qualche risposta
da quelli. Ma non la proferivano, e però continuando egli aggiunse:
— È questo pure un segno che fu nel petto vostro alcuna generosa bontá, mentre le colpe antiche destano alfine in voi un pietoso ravvedimento. Niuno però vi gravi d’essere stati voi soli gli oppressori di quelle regioni, perocché non era bastevole una sola progenie, quantunque nata alle stragi, a compiere tutte quelle con le quali il Senato anelava di sterminare que’ regni. Tu ben lo sai, o Emiliano Numantino, il quale nella tua gioventú militasti in Iberia sotto le insegne del consolo L. Licinio Lucullo destinato al governo di quella. Quando vi giunse, era conchiusa la pace co’ Celtiberi, e nondimeno senz’altra cagione fuorché