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PARTE PRIMA
tu vanti quieta prosperitá, sperare non si può da chi nella storia
contempla le umane vicende e ne giudica poi con probabili sentenze.
Roma nacque, egli è vero, da umili principi, ma non usurpando
l’altrui. Avvegnaché era deserta quella regione dove Romolo
adunò i nostri progenitori. Certo è lodevole proponimento
il ridurre una terra abbandonata in florida abitazione di gente
valorosa. Né ti dolga ch’egli adunasse fuorusciti e venturieri, e,
se vuoi che dica, malfattori, perocché liberò cosí la Italia da un
ingombro pernizioso. Coloro, quasi armenti fuggiaschi, furono
da tal pastore sommessi al giogo d’imperio moderato; e quelle
menti ritrose alfine conobbero, per tale disciplina, l’autoritá della
ragione, da loro schernita per l’addietro.
Né ti attristi, quasi fosse maravigliosa indegnitá, che uomini disgiunti dal sesso piú leggiadro intendessero procurarsi in ogni modo il necessario conforto degl’imenei: avvegnaché prima del tanto deplorato rapimento delle vergini sconsolate, i Romani aveano giá piú volte, e con supplichevoli instanze, richieste a’ vicini le fanciulle per consorti ad oneste condizioni. Ma gli sdegnosi ed acerbi rifiuti costrinsero alla fine i nostri al ratto da te or mestamente biasimato. Pur le vergini meno di te furono dolenti del caso loro, anzi ce lo perdonarono agevolmente: le quali, ben sai, discinte e belle si lanciarono fra le squadre in procinto, e spensero con soavi parole e col pianto le ire crudeli. Non tregua, non pace, non alleanza, ma comune imperio fra noi e gl’implacabili Sabini fu il mirabile effetto di quella dolce intercessione. Quindi il regno di Numa durato piú che otto lustri senza guerre e senza congiure, non temuto, ma venerato, sembra una immagine di celeste benignitá piú tosto che umano governo. Niuna gente vantare si può di cosí inerme, placida, giusta dominazione in mezzo di sdegnati e bellicosí vicini, rattenuti solo dalla sacra maraviglia per quella virtú.
Che se di poi gli avi nostri continuamente ebbero nella mano il ferro grondante, ciò non avvenne tanto per inquieta brama di turbare il mondo, quanto per la necessitá della fortuna. Perché tutti i popoli d’Italia, chi per timore, chi per invidia, si lanciarono ansiosi di opprimere la nascente Roma. Ella da prima vendicando