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PARTE PRIMA
rimasta sempre umiliata ed oscura. Che se noi soggiogammo
questa simulando sostenerla, senza niuno artifizio ci spingemmo
di poi contro la Macedonia, né fummo paghi se non traendo alla
fine l’infelice Perseo, ultimo suo re, al carro fastoso di Paolo Emilio
trionfatore. Ecco oppressa la libertá di chi la commise a noi,
strappato dalle fronti reali il diadema, rotti gli scettri, squarciate
le porpore, non perché fosse liberato il mondo dalla tirannide,
ma perché noi soli avventurati, illustri, formidabili rimanessimo
ad esercitarla, e le altre nazioni tutte oppresse, vili, tacite ammirassero
la nostra incredibile baldanza. Né sono queste mie parole
stillanti fiele, anzi piú che non dico furono confermate con gli
effetti di opere sanguinose e nefande. Perché avea appena Emilio
spedite in Italia le ricche spoglie del monarca prigioniero, ch’ebbe
decreto dal Senato di manomettere tutte le cittá dell’Epiro seguaci
della fortuna di quel re. Quindi Emilio occultando l’atroce
decreto con piú atroce dissimulazione, entrò nell’Epiro fingendo
moderati pensieri, quasi fosse disposto a ristabilire quella provincia
in libertá. Ordinò poi che in un giorno prescritto in ogni cittá,
l’argento e l’oro che era nelle case e ne’ templi si recasse in pubblico,
ed intanto occupava le vie con le sue legioni. E poiché fu
ubbidito a quanto impose, dato un segno improvviso, i guerrieri,
giá consapevoli della perfidia del capitano, si avventarono sul
rimanente delle facoltá de’ traditi cittadini. Le quali tutte predarono
tripudiando, come premio glorioso conceduto da’ Padri
Conscritti per la illustre oppressione della Macedonia. Ben settanta
cittá furono in tal guisa devastate, ch’elle sparvero dalla
faccia della terra in quell’esecrabile giorno. Rimasero soltanto
le ruine sparse ne’ campi desolati, insegne odiose dello splendido
furore de’ Romani. Centocinquantamila cittadini furono condotti
schiavi a sospirare, seguaci o spettatori dell’orgoglioso trionfo;
gli altri errarono dispersi nelle ruine delle patrie loro, esuli, mendici,
lagrimosi, oggetto di pietá a tutti gli uomini fuorché a noi.
L’ebbro non si sazia di tracannare, anzi traballando accosta con la tremola mano il nappo colmo alle avide labbra; cosí noi, vie piú bramosi delle malvagitá quanto piú immersi in quelle, stendemmo subitamente i ferri ancora stillanti e caldi contro