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NOTTE II - COLLOQUIO III


lenza verso la patria sia fonte della probitá e delle piú illustri imprese. Per la qual cosa io non odo senza tristezza le tue contrarie sentenze. —

— L’amare, — disse quegli, — una patria meritevole di quell’afletto è tributo facile quanto dovuto. L’amare poi una barbara, atroce, depravata, incorreggibile, sarebbe stoltezza. Pur l’odiarla è malvagitá, vano è il compiangerla: quindi il conoscerla è da saggio. — Proruppe Tullio quasi anelando: — Ma dove mai tendono, o intelletto giá fra noi cosí benigno, ora tali austere e sdegnose tue sentenze? —

— A mostrarti, — rispose quegli, — qual fu Roma non veduta allo splendore sanguigno della sua gloria, non decantata dalla fama prepotente, ma giudicata da mente non piú sottoposta al giogo delle opinioni. Vedi un asilo di malvagi dar funesto incomin ciamento. Quindi il fraticidio; poscia il ratto. Lascio le guerre con Veio e con Fidene, e con gli Equi, e co’ Volsci, e con tutti i popoli circonvicini, per vari pretesti intraprese, avventurose quanto inique. Ma poiché il feroce Tullio Ostilio distrusse Alba cittá madre di Roma, e quindi rivolse le armi contro il Lazio senza miglior cagione che l’aviditá di regno, rimase perpetua materia a’ posteri suoi d’insaziabili vendette. Perché il Romano Imperio giá palesando senza verecondia l’indole sua, tutti i popoli non che vicini, ma della Italia, si lanciarono contro lui. Quindi s’egli prima di sua volontá correva alle violente ingiustizie, vi fu costretto di poi dalla necessitá della fortuna. E però quando si considerano imparzialmente le guerre de’ nostri re, altro non sembrano se non certo flagello di vendetta divina, dal quale erano continuamente percosse queste regioni.

Quando poi essi furono discacciati, rimase la usurpatrice loro superbia, quasi funesto retaggio alla Repubblica. Ella come oceano tempestoso, che trapassa i confini dell’ordine universale, spandeva la sua violenza desolante, vie piú ingorda di nuove usurpazioni quanto piú di quelle era pasciuta. Né paga di togliere con l’armi, che almeno è misfatto generoso, ella usurpò con frode abbominevole. Ciascuno di voi giá si avvede ch’io ragiono di quel giudizio, degno di perpetua ignominia, profferito dal Popolo Ro