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NOTTE II - COLLOQUIO I
nudo fino a Mintumo ed ivi consegnato al pretore. Non mai altra
novella destò in me tanta maraviglia e tanto furore, quanto
allorché ivi intesi che per decreto del Senato io come esecrabile
dovea essere da qualunque giudice condannato alla morte, e chiunque
potea trarmi in carcere con mano violenta.
Mentre pertanto il pretore nel suo seggio profferiva la iniqua sentenza, io chiuso in una cella tenebrosa aspettava la indegna fine della mia vita gloriosa. Tanto però una chiara virtú splende anco in oscura fortuna, che non v’era chi ardisse per me divenir carnefice in tutto Mintumo. Soltanto uno schiavo cimbro si offerse, ricordevole del sangue de’ suoi da me sparso a fiumi, ed entrò deliberato alla vendetta. Vidi nel cieco aere di quell’angusto luogo balenare il suo ferro, e quantunque io fossi inerme ed abbattuto, pure con questa voce formidabile in campo esclamai: “Tu dunque, o perfido, ardisci offendere Caio Mario?”. Al suono della quale sentenza, colui vile quanto crudele gettò il ferro e fuggi mormorando tremole parole. Narrava di poi con barbara superstizione che in quel momento splendeano gli occhi miei nella oscuritá come scintille, e la voce sonava mirabile e divina. Cosi quella pietá, la quale in ogni cuore ornai era spenta da vile servitú, si destò allora per quella stolta cagione. Perocché un tal portento, narrato dallo schiavo idiota, valse piú de’ miei trionfi, e sgomentò cosí il giudice, ch’egli temendo la vendetta de’ numi se offendesse uomo lor grato, mi lasciò all’arbitrio del mio destino. Fui quindi collocato in nave con vettovaglie e nocchieri, che mi guidassero dove loro imponessi. Intanto que’ cittadini, adunati sulla spiaggia, imploravano dagli dei perdono se mi discacciavano, costretti da crudele necessitá a non albergare ospite cosí pericoloso.
Io volsi la prora alla opposta Libia, ma la tiranna fortuna mi respinse alla Sicilia immantenente. Erano appena le mie orme impresse in quell’arena, che vi fui riconosciuto e perseguitato. Mi ricoverai di nuovo in mare, e il vento in Cartagine mi trasportò. Dovea pur quella spiaggia risonare la fama delle mie imprese, ma la prima voce che vi udii fu la intimazione di Sestilio, colá pretore, che mi vietava di rimanervi. A me sospinto da continue sciagure, scacciato da ogni lido, era ornai divenuta ogni